San Nicola e il mare
Tra i tanti patronati ascritti a san Nicola non poteva non mancare il rapporto che il vescovo di Mira ha avito col mare e con i naviganti in generale e i marinai in particolare. Varie sono le fonti al riguardo, come quella in cui si racconta che San Nicola salva una nave e l’intero equipaggio da una forte tempesta. I marinai, giunti finalmente salvi a riva si recano in una vicina chiesetta per ringraziare Dio per il pericolo scampato. Al loro ingresso riconosceranno il loro celeste salvatore ritratto su un’icona d’altare, sul cui dipinto era scritto San Nicola. Ma è la Praxis de nautis il racconto più celebre che segna il profondo legame tra San Nicola e il mare. Secondo l’antica fonte un’imbarcazione veniva minacciata da onde altissime, mentre si trovava in acque aperte. Uno dei marinari, sentendosi in pericolo a causa della furia del vento e delle onde che divenivano via via sempre più minacciose, invocò il nome di Nicola perché accorresse in loro aiuto. Subito il santo gli apparve (Nicola però era ancora vivo). Così il santo vescovo, senza perdere tempo, dapprima prese a incoraggiare la ciurma per affrontare con coraggio l’avversità, poi passerà lui stesso, insieme ai malcapitati, a tirare gomene e funi al fine di assicurarle intorno a dei pali stabilizzando in tal modo il veliero. Nave e marinai furono finalmente condotti alla salvezza, una volta giunti all’interno di un porto le cui acque erano divenute, adesso, decisamente più tranquille. Ma all’improvviso san Nicola scomparire dalla loro vista. Quando i marinai attraccata l’imbarcazione scesero in paese, andarono in una chiesetta poco lontana dal porto per ringraziare Dio di averli salvati da quel grave pericolo e per aver interceduto presso san Nicola che era andato in loro aiuto. Ma non appena i marinai entrarono nel tempietto videro il vescovo Nicola riunito in preghiera con altri sacerdoti del luogo, quasi confondendo tra loro perché non indossava i paramenti episcopali. La ciurma attese in religioso silenzio fin quando le preghiere non furono terminate, e solo dopo si avvicinò al vescovo di Myra per ringraziarlo della salvezza loro operata. Ma Nicola, senza alcuna esitazione, rispose ai marinai lì presenti che erano stati i loro molti peccati ad attirare l’ira divina, e che, pertanto, sarebbe stato meglio che cambiassero stile di vita.
San Nicola e le tre fanciulle
Siamo a Patara e precisamente tra il 280 e il 290 d.C. quando il giovane Nicola, probabilmente
già sacerdote, e poco più che venticinquenne, ricco di famiglia e pieno di zelo pastorale, era divenuto già noto nella sua città natale per il suo personale esercizio della carità evangelica. Aveva, infatti, ereditato molti beni dalla prematura morte dei due suoi genitori. E in uno dei racconti più celebri, in oriente noto come Praxis de tribus filiabus o, più comunemente, come Il Racconto delle tre fanciulle , è riportato il prodigio che sarà tra i più ritratti tra i pittori di ogni epoca.
All’epoca dei fatti narrati le ragazze che appartenevano a famiglie indigenti venivano indotte alla prostituzione, spesse volte anche dai loro stessi parenti, anche se solo per il tempo necessario a procurarsi la dote indispensabile per il loro matrimonio. E il nostro Nicola, giovane pastore di quel gregge ferito dai morsi della fame, provato da carestie e pestilenze, prese a combattere anche quella vergognosa piaga sociale. Si racconta che un giorno, venuto a sapere che in una famiglia di Patara ben tre fanciulle stavano per essere avviate a quell’indegna usanza locale, Nicola, non appena si fece buio, si avvicinò, furtivo, nei pressi della loro abitazione e, giunto a ridosso della finestra che dava luce alla camera delle tre infelici fanciulle, vi lanciò, all’interno, un panno, probabilmente un sacchetto di cuoio, che conteneva delle monete o della polvere d’oro. Poi si dileguò. L’indomani mattina, quando il padre di quella famiglia vide il ricco dono riverso sul pavimento di casa, che egli pensava fosse venuto direttamente dal cielo, prese subito a dotare la figlia più grande del necessario, così da prepararla al suo matrimonio. Il pover’uomo, però, aveva ancora altre due altre figlie da maritare. E Nicola, che conosceva la dolorosa situazione di quella famiglia, ripeté nuovamente quel gesto. E anche il secondo dono “celeste” fu accolto con gioia e stupore da parte del capofamiglia, che riuscì in tal modo a sistemare anche la seconda figlia. Ma il padre, a questo punto del racconto, cominciò a nutrire qualche dubbio sulla provenienza di quel denaro. Così, sospettando che l’oro non provenisse miracolosamente dal cielo ma che quasi certamente fosse il dono di un anonimo benefattore, prese a dormivegliare nelle notti seguenti tenendo ben tese le proprie orecchie, così da sorprendere e conoscere l’uomo in questione. In casa, infatti, viveva ancora la terza figlia. Qualche tempo dopo, sempre di notte, il padre fu allertato, nel sonno, da un suono del tutto simile a un tintinnio di denari gettati sul pavimento. Nell’intento di scoprire chi fosse l’autore di quei ripetuti e nobili gesti, si catapultò fuori dall’abitazione per sorprendere il sant’uomo.
L’ignoto donatore però si era già dato alla fuga, ma il capofamiglia riuscì a raggiungerlo nel buio della notte e pure ad atterrarlo poco lontano da casa sua. Fu in quell’istante che si rese conto di trovarsi di fronte a Nicola. Il giovane sacerdote pregò l’anziano genitore di non riferire a nessuno dell’accaduto ma, da quanto ci è noto, riteniamo che il padre di quelle tre fanciulle non mantenne il segreto. Questo racconto ci aiuta a capire il perché quasi tutte le statue o le immagini pittoriche riferite a san Nicola lo raffigurano con le famose “tre palle d’oro”. Queste, poste il più delle volte su di un Vangelo, che a sua volta è tenuto dalla sua mano sinistra, sono il simbolo più popolare del Santo taumaturgo d’Oriente. In realtà le tre “sfere d’oro” sono il risultato secolare della stilizzazione pittorica dei sacchetti di cuoio o di stoffa in cui Nicola racchiudeva le monete, o della polvere d’oro, che egli donava, nottetempo, alle fanciulle da maritare. Sul perché le sfere siano tre, numero presente in quasi tutti i numerosi racconti di San Nicola (tre infatti sono le fanciulle, i generali bizantini, i prigionieri salvati, i bambini risuscitati, gli scolari, etc), è per sottolineare, da parte dei cronisti, la coraggiosa difesa, da parte di Nicola, del dogma della Santissima Trinità, proprio in occasione del già citato Concilio di Nicea del 325 d.C., dove egli combatté,
valorosamente, l’eretico sacerdote Ario, la cui teologia si opponeva alla divinità di Gesù Cristo come il Figlio di Dio, pertanto implicitamente contrario al dogma trinitario.
L’oste malvagio
Il racconto che segue è noto come dei tre scolari, o dei tre bambini risuscitati, il cui tema principale è da ricercare nelle battaglie che il vescovo Nicola ha intrapreso nel corso del suo lungo episcopato nel prendersi cura del gregge, affidatogli dalla Divina Provvidenza, non solo spiritualmente ma anche materialmente. Del grave problema sociale della prostituzione delle fanciulle povere, sebbene all’unico scopo di ottenere la dote necessaria alla celebrazione del loro matrimonio, è stato fatto cenno nel celebre
racconto delle tre fanciulle. Qui, invece, si affronta il tema della carestia e della fame che, unitamente ai prodigi legati al cibo procurato per i poveri, fa riferimento addirittura al cannibalismo infantile, piaga presente all’epoca dei fatti, come in diversi altri periodi della storia umana.
Una prima versione del racconto riferisce che quando Nicola era ancora era in vita e si stava recando a Nicea, dove avrebbe partecipato al primo Concilio della Chiesa universale, si fermò in una osteria. L’oste gli presentò in un piatto contenente del pesce, ma Nicola subito si insospettì: volle infatti vedere dove e come l’oste avesse conservato quel cibo e, dopo una preghiera, fece uscire dalle botti a lui presentate i tre bambini che erano stati precedentemente uccisi dal malvagio commerciante.
Una seconda versione, invece descrive i fanciulli come scolari. Un tale, che abitava nelle vicinanze di Myra, prima di salutare i propri figli che si dovevano recare nella lontana Atene per cominciare gli studi in una scuola prestigiosa consigliò loro di passare da Nicola, così da ricevere la sua benedizione. I ragazzi andarono dal santo vescovo ma non lo trovarono. Fattosi nel frattempo buio, alloggiarono presso un’osteria del luogo. L’oste avendo notato che i ragazzi erano benestanti entrò nottetempo nella loro
camera e li uccise, allo scopo di rubare i loro preziosi vestiti. Ma non si limitò al solo furto. Il misfatto andò ben oltre. Nicola, intanto, venne a sapere di quei tremendi gesti direttamente da Dio, e subito si recò in quella locanda chiedendo all’oste di mangiare della carne. Nicola, di fronte al piatto, benedisse il cibo e subito i tre scolari tornarono prodigiosamente in vita. L’oste, poi, si pentì. E gli scolari, come svegliatisi dal sonno, ripresero la strada per Atene.